1 mar 2011

Libia, caos profughi al confine: rischio crisi umanitaria

Libia, caos profughi al confine: rischio crisi umanitaria

Cresce l'allarme profughi: dall'inizio delle violenze, oltre 150mila persone hanno abbandonato il Paese. Intanto, anche la Russia abbandona Gheddafi: "E' politicamente morto e non ha più posto nel mondo civilizzato", dice il Cremlino

01 marzo, 2011

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Per gli Stati Uniti in Libia potrebbe scoppiare una guerra civile, se Muammar Gheddafi non
lasciasse il potere, ma intanto il leader libico ha inviato le forze armate ancora fedeli ai confini occidentali, mentre un comandante americano ha detto che una no-fly zone potrebbe essere imposta soltanto a condizione di mettere fuori combattimento le difese anti-aeree del paese nordafricano.
Mentre anche una fonte del Cremlino ha suggerito che Gheddafi si dimetta, definendolo "un cadavere politico vivente", sono gli Usa a lanciare l'allarme. "Nei prossimi anni, la Libia potrebbe divenire una democrazia pacifica, oppure affrontare una prolungata guerra civile", queste le parole della Clinton. Lancia invece l'allarme il segretario di Stato Hillary Clinton che, in un'audizione davanti ai parlamentari statunitensi a Washington, ha detto che la Libia potrebbe diventare una democrazia oppure rischiare una prolungata guerra civile.

Il presidente dell'Unione Europea Herman Van Rompuy nel frattempo ha convocato un vertice speciale sulla Libia e il Nordafrica a Bruxelles il prossimo 11 marzo. Il capo della politica estera Ue, Catherine Ashton, sta conducendo i preparativi per il summit, che dovrà affrontare la risposta politica e umanitaria alla situazione in Libia, dove la rivolta contro Gheddafi si sta avvicinando alla capitale Tripoli.

Gheddafi schiera forze ai confini occidentali -
Mentre l'Occidente valuta le opzioni militari, prende consistenza il sospetto che il vecchio capo, al potere da 42 anni, non riesca a cogliere quanto importante sia il fronte dell'opposizione.
Ma Gheddafi sembra impermeabile alle pressioni esterne: "Tutto il mio popolo mi ama. Sarebbero disposti a morire per proteggermi", ha detto il 28 febbraio alle televisioni Abc e Bbc, minimizzando l'importanza della rivolta che gli ha sottratto il controllo di gran parte della Libia orientale.
E dopo l'annuncio che gli Usa stanno muovendo navi e aerei da guerra vicino al Paese nordafricano, le forze libiche hanno riaffermato la loro presenza a Dehiba, una remota regione di confine al sud, facendo sventolare al posto di frontiera diverse bandiere verdi.
I giornalisti al confine con la Tunisia hanno visto comparire veicoli dell'esercito libico e soldati armati di Kalashnikov.

Calma apparente a Tripoli - Nella capitale libica l'esercito ha rafforzato la presenza nelle strade di accesso in città, in quelle per i due aeroporti cittadini e attorno ai punti strategici. Il traffico, intanto, è tornato ad essere caotico anche a causa dei numerosi posti di blocco: le forze di sicurezza controllano accuratamente ogni auto in entrata e in uscita dalla città, alla ricerca di armi. Il governo vuole impedire che le sacche di ribellione presenti in città entrino in possesso di armi ed esplosivo. Molti negozi hanno riaperto così come scuole e alcuni uffici, ma la tensione resta alta.
"C'è molto nervosismo in giro", ha detto Salah, un medico di 35 anni davanti ad una panetteria dove c'erano 15 persone in attesa. "Certo che sono preoccupato. La mia famiglia ha paura. Stanno tutti in casa. Abbiamo sentito più volte dei colpi d'arma da
fuoco. Ma la gente è solidale. Spero che la situazione si calmi un po'. Ho 35 anni ed è la prima volta che vede qualcosa del genere in Libia. Fa davvero paura".

Emergenza profughi - La situazione a Ras Jdir, al confine tra la Libia e la Tunisia è al limite della crisi umanitaria, con una gravissima situazione medico-sanitaria.  E' cosi che la
definisce l'Agenzia dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) in una nota diffusa oggi. Dall'inizio delle violenze, oltre 150mila persone hanno abbandonato la Libia, 69mila verso l'Egitto e oltre 75mila verso la Tunisia. Mentre dal confine egiziano si tratta quasi esclusivamente di rientri in patria, in Tunisia sono molti stranieri che non sono riusciti a rientrare nei loro paesi durante i ponti aerei. Ci sono bengalesi, ghanesi, maliani, libici ma soprattutto egiziani che accusano il proprio governo di non avere mobilitato abbastanza mezzi per evacuarli
da Tripoli. L'Unhcr ha già allestito 500 tende a Ras Jdir, già tutte piene.

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