27 apr 2011

Misurata, tra bombardamenti e torture

Misurata, tra bombardamenti e torture

Non è più possibile vivere nella terza città Paese, "siamo scappati per la paura". Ecco come la gente racconta cosa significhi vivere in Libia oggi. E ogni giorno intere famiglie scappano a Bengasi per sfuggire alle violenze. LE TESTIMONIANZE



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In Libia non c’è traccia della resa del colonnello Muammar Gheddafi. I combattimenti proseguono, nonostante la presunta tregua annunciata dalle forze del rais che avevano promesso di lasciare Misurata in mano alle tribù locali. E mentre le forze internazionali valutano nuove modalità di azione sul campo, come l’Italia che ha deciso che parteciperà ai bombardamenti, i libici scappano, muoiono e combattono.

“Gheddafi sta bombardando in modo terribile. Noi eravamo anziani, donne e bambini. Siamo fuggiti via per la paura”. Un uomo racconta così, all’inviato di SkyTG24 , cosa significa vivere oggi in Libia. E’ di Misurata, e insieme ad altre 13 famiglie, è scappato dalla sua città, teatro del sanguinoso scontro tra ribelli e forze lealiste. E’ appena arrivato a Bengasi, roccaforte degli oppositori al regime, e ha trovato riparo in una casa che ospita altre 50 famiglie. Tutte alla ricerca di un posto tranquillo dove poter cercare di tornare a vivere.
Quasi tutti hanno perso un parente in questa guerra. C’è chi racconta di come la mamma e la zia siano rimaste ferite dalle truppe di Gheddafi; chi parla di aver visto rompere le costole e i denti ai bambini e chi racconta di torturatori che gettano l’alcool sulla gente e gli danno fuoco. “Mio cugino – racconta un ragazzo – è riuscito a mettersi in salvo solo perché è riuscito a nascondersi costruendo un fortino con delle pietre. E’ rimasta lì, fermo, per due giorni interi, senza mai muoversi.

Molti dei giovani che oggi si trovano a Bengasi, però, hanno solo scortato mamma e sorelle. Presto saliranno su una nave che li riporti a Misurata. Devono combattere al fianco dei ribelli.

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