23 mag 2011

Istat, 1 italiano su 4 è a rischio povertà

Istat, 1 italiano su 4 è a rischio povertà

In Italia la crisi economica ha portato indietro le lancette di quasi 10 anni: la ripresa è lenta e aumenta il disagio sociale delle famiglie. 800.000 donne, con l'arrivo di un figlio, sono state costrette a lasciare il lavoro. I DATI E IL VIDEO



Rapporto 2008 - "In difficoltà una famiglia cinque"
Rapporto 2009 - "La crisi moltiplica i bamboccioni"

In Italia la crisi ha portato indietro le lancette di quasi 10 anni e la ripresa è moderata. E' quanto fotografa Istat nel rapporto annuale "La situazione nel Paese nel 2010", che sottolinea inoltre che tra il 2001 e il 2010 in Italia c'è stata la peggiore performance di crescita fra tutti i paesi Ue, con un tasso medio dello 0,2% contro l'1,3%. Per salvaguardare i consumi, le famiglie hanno progressivamente eroso il risparmio e la propensione all'accantonamento si è attestata al 9,1%, ai minimi dal 1990. Pesante l'impatto sull'occupazione: nel biennio 2009-2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità, ed i più colpiti sono stati 501 mila under 30.
Circa un quarto degli italiani sperimenta il rischio povertà o esclusione sociale. Inoltre, nel 2008-2009 circa 800.000 madri italiane hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizioni di doversi dimettere in occasione o a seguito di una gravidanza.

1 su 4 a rischio povertà - Un italiano su 4 è a rischio povertà o esclusione sociale: il 24,7% della popolazione, più o meno 15 milioni. Si tratta di un "valore superiore alla media Ue (23,1%)" si legge nel rapporto annuale Istat e relativo all'anno 2010. In particolare, le persone più a rischio sono gli anziani soli e le famiglie più numerose, soprattutto quelle che vivono nel Mezzogiorno, che si conferma l'area più depressa della penisola. "Nelle regioni meridionali, dove risiede circa un terzo della popolazione nazionale - si legge nel focus - vive il 57 per cento delle persone a rischio di povertà o esclusione (in almeno una condizione di disagio) e il 77% di quelle con tutti e tre i sintomi (rispettivamente 8,5 milioni e 469mila individui)".

Donne costrette a dimettersi perché in gravidanza  - Sono circa 800.000 le donne, invece, che con l'arrivo di un figlio sono state costrette a lasciare il lavoro, perché licenziate o messe nelle condizioni di doversi dimettere. Un fenomeno  che colpisce più le giovani generazioni rispetto alle vecchie e che  appare particolarmente critico nel mezzogiorno, dove "pressoché la totalità delle interruzioni può ricondursi alle dimissioni  forzate".
Nel 2008-2009, si legge nel rapporto annuale dell'Istat circa 800.000 madri hanno dichiarato che nel corso della loro vita lavorativa sono state messe  in condizione di doversi dimettere in occasione o a seguito di una  gravidanza. Si tratta dell'8,7% delle madri che lavorano o hanno  lavorato in passato e che sono state costrette dalle aziende a  lasciare il lavoro, magari firmando al momento dell'assunzione delle  'dimissioni in bianco'.
A subire più spesso questo trattamento, non sono le donne delle generazioni più anziane ma le più giovani,  6,8% contro 13,1%, le residenti nel mezzogiorno (10,5%) e le donne con titoli di studio basso (10,4%). Una volta lascito il lavoro solo il  40,7% ha poi ripreso l'attività, con delle forti differenze nel  paese: su 100 donne licenziate o indotte a dimettersi riprendono al  lavorare 15 nel nord e 23 nel sud.

In 2 anni i giovani occupati sono diminuiti di mezzo milione - Un altro aspetto allarmante è quello relativo alla disoccupazione giovanile. Sono gli under 30, infatti, la categoria più colpita dalla crisi economica in Italia. Secondo il rapporto annuale dell'Istat emerge che nel biennio 2009-2010 si registrano 501 mila occupati in meno nella fascia d'età compresa tra i 15 e i 29 anni. In totale, il numero degli occupati è diminuito di 532 mila unità. Al saldo negativo dei giovani si aggiunge infatti il calo di 322 mila unità nella fascia d'età compresa tra i 30 e i 49 anni cui si contrappone l'incremento di 291 mila unità tra gli over 50.

Deserto dei giovani: effetti su casa e consumi - Un dato che fa riflettere, però, è che secondo i dati resi noti dal Censis il 17 maggio scorso, in Italia si può parlare di deserto dei giovani. "I giovani sono in via di estinzione. Negli ultimi 10 anni, dal 2000 al 2010 abbiamo perso più di 2 milioni di cittadini di età compresa tra i 15 e i 34 anni" ha detto il direttore del Censis, Giuseppe Roma". Numeri confermati anche dall'elaborazione del centro studi Datagiovani per il Sole 24 Ore.
Come riportato dal Sole 24 Ore in edicola lunedì 23 maggio, "In Italia sono spariti oltre 20mila giovani dagli archivi delle entrate. I contribuenti fino a 24 anni sono diminuiti del 10% dal 2008 al 2009". Inoltre, sempre secondo il centro studi Datagiovani, i giovani dipendenti hanno redditi al di sotto dei 10mila euro annui, "7.273 euro" per la precisione. 

Nonostante nel nostro Paese continui a crescere l'età media e sparisca la fascia di under 30, resta questa categoria quella più colpita dalla crisi occupazionale. 
Ma non basta, in base alla fotografia scattata dal Censis sulla condizione giovanile nazionale, nel nostro Paese la laurea non serve a trovare un lavoro: i laureati lavorano addirittura meno di chi possiede un diploma e, ovviamente, meno anche dei laureati degli altri Paesi europei. Secondo l'indagine, in Italia solo il 66,9% dei laureati (tra i 25 e i 34 anni) lavora, contro l'84% della media europea, senza considerare altri Stati europei con valori ben più positivi: Francia (87,1%), Germania (88,5%) e Regno Unito (88,5%). La situazione è ancor più allarmante se poi si prende in considerazione il dato del tasso di occupazione dei diplomati per la stessa fascia di età, pari al 69,5%.

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