3 mag 2011

Stato-Mafia, Brusca: "Dissi a Berlusconi: accordo o bombe"

Stato-Mafia, Brusca: "Dissi a Berlusconi: accordo o bombe"

Il boss in Aula a Firenze per il processo sulle stragi degli anni Novanta tira in ballo il premier ma spiega: "Lui e Dell'Utri non c'entrano". Poi accusa anche l’ex ministro dell’Interno Mancino: "Ricevette un papello con le richieste di Cosa Nostra"



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Dopo le stragi mafiose dei primi anni Novanta, Cosa Nostra mandò a dire a Silvio Berlusconi, attraverso l'alleato Marcello Dell'Utri, che se non si fosse arrivati a un accordo ci sarebbero state altre bombe. Lo ha dichiarato in aula a Firenze il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca (uno degli esecutori della strage di Capaci contro il magistrato Giovanni Falcone) nel corso di una testimonianza nel processo per le stragi che vede imputato Francesco Tagliavia, accusato di aver fornito uomini e risorse per la strage mafiosa di via de' Georgofili e di aver partecipato alla fase decisionale delle stragi del '93.
Brusca ha aggiunto che il boss di Cosa Nostra Totò Riina avrebbe fatto arrivare all'allora ministro dell'Interno Nicola Mancino una serie di richieste in cambio della fine delle stragi.

Mangano ad Arcore
- "Mandai Vittorio Mangano (lo stalliere di Arcore, ndr) a Milano con l'incarico di dire a Dell'Utri e, attraverso di lui a Berlusconi, che le bombe erano state messe da Cosa Nostra e che se le nostre richieste non fossero state accolte avremmo continuato a metterle. Berlusconi si apprestava a diventare presidente del Consiglio e se non avesse accolto le nostre richieste sul maxiprocesso, sul 41 bis, le stragi sarebbero continuate", ha detto Brusca, collocando l'episodio nella seconda metà del 1993.
"Mangano riferì di essersi incontrato con Marcello Dell'Utri che lo aveva ringraziato e si era messo a disposizione... tutto si bloccò con l'arresto di Mangano", ha proseguito Brusca, aggiungendo che il fallito attentato allo Stadio Olimpico doveva avere una duplice valenza: "Chiudere i conti con il vecchio che non aveva mantenuto le promesse, vendicandosi, e aprire con il nuovo".
Il collaboratore di giustizia - uno degli esecutori della strage di Capaci - ha comunque precisato, riguardo alle stragi del 1992-93, che "per quelle che sono le mie conoscenze, Berlusconi e dell'Utri non c'entrano".
Lo scorso giugno Dell'Utri è stato condannato in appello a sette anni di carcere - erano nove in primo grado - per concorso esterno in associazione mafiosa. 

Il "papello" per Mancino - Nel corso della testimonianza, Brusca ha detto che tra le stragi di Capaci e via D'Amelio (23 maggio e 19 luglio 1992), in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Riina inviò a Mancino attraverso intermediari un "papello" di richieste per Cosa Nostra. "Incontrai Riina che mi fece capire di aver consegnato  un papello con una serie di richieste che io conoscevo perché ne avevamo discusso in passato, come il maxiprocesso, l'applicazione della legge Gozzini".
"(Riina) non disse attraverso quale tramite il papello era stato consegnato a Mancino, mi disse solo che l'allora ministro dell'Interno era il committente finale", ha proseguito Brusca - uno degli esecutori della strage di Capaci - precisando di non aver mai riferito questo episodio in un dibattimento pubblico prima d’ora.

La mossa di Riina - Brusca ha spiegato che Riina nel tempo cambiò atteggiamento rispetto a eventuali intermediari per una trattativa: "In un primo tempo Riina era un po' titubante e l'unico suo pensiero era il maxiprocesso. Mi disse che si erano presentati Dell'Utri e Ciancimino che gli volevano portare la Lega e qualche altro soggetto politico, ma lui prese questa notizia con indifferenza". Rispondendo al presidente della Corte, Nicola Pisano, sul perché Riina avesse cambiato atteggiamento in un periodo successivo quando il presunto "committente" era Nicola Mancino, cioè fra le stragi di Capaci e via D'Amelio, Brusca ha detto che "Riina vedeva questa offerta più concreta rispetto alla prima perché aveva fatto un papello di richieste che aveva fatto pervenire tramite terzi dei quali però non mi fece il nome, non scese in dettagli".

La reazione di Nicola Mancino
- "Brusca, a Firenze, continua a riferire su di me quanto avrebbe appreso da Riina, il quale continua a non parlare. In ogni caso se Riina ha fatto il mio nome è perché da ministro dell'Interno ho sempre sollecitato il suo arresto, e l'ho ottenuto". L' ex ministro degli Interni Nicola Mancino commenta così le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca.
Per l'ex presidente del Senato si tratta di "una vendetta contro chi ha combattuto la mafia con leggi che hanno consentito di concludere il maxiprocesso e di perfezionare e rendere più severa la legislazione di contrasto alla criminalità organizzata".

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