12 set 2011

Addio Province? Forse… Ecco perché è così difficile abolirle

Addio Province? Forse… Ecco perché è così difficile abolirle

Nonostante l’ok del Consiglio dei ministri al taglio di tutte le 110 province italiane la strada sembra tutt’altro che segnata. Per Di Pietro "tra 20 anni il ddl sarà ancora in commissione". Mentre c’è chi propone addirittura di istituirne delle nuove…


province italiane
Un momento della riunione dei presidenti delle Province che si è svolta a Roma lo scorso 24 agosto



Province addio? Il punto interrogativo, a quanto pare, è d'obbligo. Perché il Consiglio dei ministri avrà pure dato il via libera alla cancellazione di tutte le 110 province italiane, ma quello del governo è soltanto un primo passo. E la strada verso l'abolizione appare fin d'ora lunga, incerta e irta di ostacoli. Tant'è che più d'uno, a destra come a sinistra, bolla la mossa di Berlusconi e dei suoi ministri come un 'bluff' o una 'truffa', destinata ad essere smascherata.

Le "province regionali" – Il disegno di legge costituzionale approvato nel Consiglio dei ministri dell'8 settembre bandisce dalla nostra Carta le 'Province'. Cancella la parola e insieme ad essa l'ente. Ma tra Regioni e Comuni non lascia il vuoto. Perché prevede che le Regioni dovranno istituire “forme associative tra i Comuni” per il governo della cosiddetta “area vasta”. Insomma, i governatori divideranno le rispettive regioni in più aree, coincidenti in tutto o in parte con le attuali province, e attribuiranno loro funzioni e organi. Nei quali i cittadini eleggeranno i loro rappresentanti (sulla base di una apposita legge elettorale).
Insomma, se si analizza più a fondo il ddl, si scopre che il governo “in pratica ha scritto che le Province cambieranno nome: 'aree vaste', 'città metropolitane', 'super-comuni' o 'mini-regioni'”, denuncia un giornale di centrodestra come 'Libero'.
Ma c'è di più. Non è neanche detto che alla fine cambino nome, se il ministro Roberto Calderoli sceglie fin d'ora per esse quello di 'province regionali'. Un modo, forse, per rassicurare il suo partito, la Lega, che strenuamente si è opposta al tentativo di abolire puramente e semplicemente le province.
“Un pasticcio – afferma 'Libero' – o, più verosimilmente, una scientifica operazione di maquillage istituzionale dalla quale emerge una sola certezza: le province sono immortali”.

I paradossi – Il ddl del governo impone che dalla nascita delle nuove 'associazioni' di Comuni derivi “in ogni Regione una riduzione dei costi di organi politici e amministrativi”. Ma il “paradosso”, avverte il presidente dell'Upi Giuseppe Castiglione (Pdl) è che la riforma aumenterà “la spesa pubblica, i costi della politica e dei servizi, oltre a creare un caos istituzionale”. Un esempio su tutti: i 61mila dipendenti provinciali dovranno, secondo Castiglione, essere riassorbiti dalle Regioni, con relativo adeguamento dei rispettivi stipendi a quelli dei colleghi regionali (+24%) e un costo aggiuntivo di 600 milioni di euro. E poi il risparmio derivante dalla scomparsa di presidenti, assessori e consiglieri provinciali si fermerebbe a 35 milioni: appena lo 0,3%, calcola il quotidiano La Repubblica, della spesa per le Province, che è di circa 12 miliardi.
Ancora. Chi lo dice che con il potere dato alle Regioni di formare i nuovi enti questi anziché diminuire non aumentino? Le 'associazioni' tra Comuni potrebbero a conti fatti risultare più di 110.
Infine, “con i tempi lunghi della riforma costituzionale, avremo anche il paradosso di elezioni per le province in via di abolizione”, scrive il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli su Twitter.

Tra il dire e il fare... - I tempi parlamentari: è questo l'altro nodo. Il 'paradosso' di cui parla De Bortoli è legato al lungo iter che richiede l'approvazione di una legge costituzionale: è del tutto probabile che la prossima primavera il ddl di abolizione delle province non sia ancora in vigore e che si vada così regolarmente a votare per rinnovare numerosi presidenti, che rimarranno poi in carica (come prevede il ddl) fino alla scadenza del mandato, nel 2017.
Ma c'è di più: i tempi parlamentari inducono i fautori dell'abolizione a essere molto scettici sull'effettivo via libera alla legge. Sia perché una caduta anticipata del governo Berlusconi rischia i lasciare l'iter legislativo a metà, sia perché la contrarietà della Lega e dei presidenti di Provincia potrebbe indurre la maggioranza a far arenare il testo in commissione. Lo dice chiaro e tondo il leader Idv Antonio Di Pietro: “Il ddl andrà in commissione per essere studiato e tra 20 anni, quando non avremo più capelli, sarà ancora lì. Tra il dire e il fare, c'è di mezzo il parlamentare...”.

I tentativi falliti – Di cancellazione delle province di parla da anni. E non solo ogni tentativo è finora fallito, ma ne sono state anche istituite di nuove (nel 2004, Monza e Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani).
Il governo Berlusconi ha già provato nella manovra del 2010 ad abolire 10 piccole province, con meno di 220.000 abitanti, ma ha fatto marcia indietro nel giro di 24 ore. In Parlamento, invece, all'inizio di luglio di quest'anno il voto bipartisan di Pdl, Lega e Pd ha contribuito ad affondare la proposta abrogativa dell'Idv. Ma quando nella manovra ferragostana è comparso il taglio di ben 36 province sotto i 300mila abitanti, anche Di Pietro era pronto a festeggiare: la cosa sarebbe diventata effettiva per decreto nel giro di poche settimane. Sempre meglio di niente. E invece, ecco un'altra marcia indietro, lo stralcio dalla manovra e il via libera al ddl costituzionale.

Nella direzione opposta – Intanto, mentre si discute di abolizione, in Parlamento c'è ancora chi propone l'istituzione di nuove Province. Il leghista Davide Caparini vorrebbe quella della Valcamonica, mentre Gianclaudio Bressa (Pd) chiede di rendere Belluno una provincia “speciale montana” e un altro leghista, Sergio Divina, propone la nascita della provincia autonoma Ladinia, “per garantire la tutela della minoranza ladina”.
E poi ci sono tre aspiranti nuove regioni, che hanno avviato l'iter (con richiesta di referendum popolare) per conquistare l'autonomia: il principato di Salerno, la Romagna e il Salento. Ma questa, forse, è un'altra storia.

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